Il mio lavoro mi porta costantemente a impegnare tempo e risorse per studiare, approfondire, analizzare dati e informazioni che i mercati finanziari forniscono. E’ uno studio che però non è fine a se stesso, ma finalizzato a fornire le risposte più adeguate alle persone che si rivolgono a me. Perché senza la relazione con i miei clienti, con le persone che cercano tramite me una risposta alle loro esigenze il mio lavoro perderebbe di valore. Valore che invece cresce quando ho l’opportunità di un confronto con una platea più vasta di persone. Come durante i webinar, le serate, gli eventi. Com’è successo, dopo tanto tempo, lo scorso 7 giugno. In cui ho avuto modo di intrattenere il mio pubblico ad Alba, parlando di fiducia. E facendo conoscere la bellissima realtà dell’Azienda Vitivinicola Piazzo, che ci ospitava. Realtà che potremmo definire sostenibile ante litteram e che ora faccio conoscere anche a te, riportandoti il dialogo fra i componenti della famiglia Piazzo e Albina Ambrogio, socia di Confini.
Buonasera Marina, ti chiedo di intervenire per raccontarci la storia di questa azienda, ma soprattutto la storia di questa famiglia, da quando è iniziata fino ad oggi. Perché è un bel patrimonio di valori che possiamo portarci a casa da questa serata insieme
Marina: La storia della nostra azienda e della nostra famiglia è iniziata nel 1969, quando papà e mamma hanno dato fiducia a queste terre quando nessuno ci credeva. Loro sono andati controcorrente, ma veramente controcorrente, perché tutti a quei tempi se ne andavano. Loro invece hanno deciso di fermarsi, di investire in queste zone. E noi adesso dobbiamo ringraziarli perché ci hanno creduto: mio papà ha rinunciato a un lavoro in banca a Torino e mia mamma ha lasciato un lavoro che aveva per dare fiducia a qualcosa in cui in realtà nessuno credeva. E la loro è stata doppiamente una sana follia imprenditoriale: perché hanno investito in questo vigneto che è tutto Nebbiolo da Barbaresco quando tutti piantavano il Dolcetto e tutti dicevano: ” Ma voi siete pazzi! State facendo una cosa assurda perché nessuno lo vuole il vostro Nebbiolo”. Ed era proprio così: nessuno coltivava Nebbiolo. Però la loro sana follia, la fiducia e tutto quanto, ci ha portati ad essere la realtà di oggi. E dobbiamo ringraziare loro, perché altrimenti, senza le loro prime pietre, noi non avremmo questa azienda. Si sono impegnati tantissimo. E poi mio papà era uno che aveva una visione, lui vedeva molto avanti, però aveva la spalla di mia mamma, altrimenti da solo non sarebbe riuscito a far nulla. Hanno creduto sempre in tutto quello su cui hanno investito. Noi abbiamo sempre avuto dei dipendenti, già trent’anni fa di più. Avevamo anche dipendenti extracomunitari, alcuni dei quali attualmente ancora alle nostre dipendenze. Quando arrivavano per chiedere lavoro, la prima cosa che mio papà diceva era: ” Hai mangiato? No? Allora mangiamo e poi vediamo un po’.” Ed è così tuttora. Fino a una decina di anni fa tutti i dipendenti mangiavano con noi. Mia mamma cucinava e rispettava le esigenze di tutti: per esempio non preparava la carne di maiale a chi non la mangiava. Questa è la realtà che si è sempre portata avanti, il rispetto delle persone. E poi l’ingresso in azienda di mio marito Franco ci ha portati ad andare avanti, ad investire sempre, con quella piccola sana follia. Io non dico che oggi investire in queste terre sia più facile. Ma credere in qualcosa quando già si ha profumo di successo è una cosa; investire quando lo hanno fatto i miei genitori è tutt’altro … sono andati proprio controcorrente al 200%. Abbiamo iniziato a vinificare solo quando mio marito è entrato in azienda. I miei genitori hanno iniziato ad investire nei terreni e poi poco per volta negli impiantamenti. Quando vendevamo le uve e c’ eravamo già mia sorella ed io, mi ricordo che mio papà ci diceva: ” Sai, sono andato in tal posto, dove vendevamo le uve e mi hanno detto che vogliono il Dolcetto. Ma io gli ho detto che, se vogliono il Dolcetto, si devono pigliare anche un po’ di Nebbiolo da Barbaresco!” Pensate alla differenza tra quei tempi ed oggi: allora il Nebbiolo non lo voleva nessuno. E poi le cose sono andate diversamente… La sana follia… la sana follia che si è manifestata anche in un’altra cosa: ad un certo punto mio papà, con la complicità di mio marito, ha acquistato boschi a Novello, nella zona di Barolo, e noi dicevamo: “Ma cosa ce ne facciamo di questi boschi a Novello?” Ed ora, grazia alla sua visione abbiamo Nebbioli da Barolo.
E poi mio papà aveva un detto rivolto sia alle persone che a tutto quanto il resto. Lui faceva l’esempio della mano chiusa. E diceva: “se tu tieni il pugno chiuso, la mano chiusa a pugno, non esce nulla ma non entra nulla. Se tu tieni aperta la mano, qualcosa scapperà, la perderai, ma quante altre cose entreranno? Guarda quanto è grande la mano, quante cose possono entrarci.” Per i miei genitori è sempre stato così, e ce l’hanno insegnato, ce l’hanno inculcato, ce lo abbiamo nel DNA donare. Se doni ricevi: donare alle persone, donare all’ambiente, donare a tutti quanti. E questa è un’esperienza che qui si è sempre ripetuta.
Questo è un esempio bellissimo che ci ha colpiti tanto quando ci siamo conosciuti: “mano aperta, mano chiusa”. Tra l’altro lo ricordi facilmente. E rende bene l’idea della generatività delle relazioni perché poi, quando si parla di un’azienda, prima di tutto si parla di investimento sulle persone e nel vostro caso, anche sulla cura del territorio. Qui arriviamo anche alla visione della sostenibilità, che ha tre gambe: una gamba economica, perché le cose hanno costi-benefici da valutare, una gamba che riguarda l’ambiente, quindi il territorio che ci ospita oggi, e l’altra gamba che riguarda le persone. E nella vostra storia questi tre aspetti vengono fuori in modo molto chiaro e molto bello. Parlando ad esempio dell’operatività del vostro lavoro si parla oggi molto di sostenibilità in vigna. Diciamo che questi territori sono delle sentinelle anche rispetto al monitoraggio dei cambiamenti climatici, perché sono dei territori che risentono di tutto quello che sta cambiando intorno a noi. Mi piacerebbe che ci raccontasse un po’ come vivete questo aspetto in vigna, la cura del territorio e della generatività del territorio rispetto al vostro lavoro.
Marina : Siamo sempre stati attenti al territorio ma io su questo passo la parola a mio marito Franco, perché è molto più bravo di me a dire tutto quello che fa in vigna.
Franco: Sostenibilità è una parola molto usata in questi ultimi anni, dopo la parola “Covid ” c’ è la parola “sostenibilità”. Io l’ho vissuta la sostenibilità in altri tempi: qui sono il meno giovane, e 60 anni fa ,quando andavo con mio padre in vigna, c’era un trattore per paese, una macchina ogni dieci famiglie, si faceva tutto a mano. Ma ogni anno se ne andavano 4/5 famiglie: andavano alla Ferrero o in altre fabbriche poiché non c’ era lavoro per tutti. Poi i consulenti, la chimica ci hanno dato una grossa mano. Il diserbo ha sostituito la zappa, la gente non andava più via, si produceva di più . Non vorrei che passasse il messaggio che noi abbiamo rovinato il pianeta. Noi siamo stati consigliati ad usare certi prodotti: l’industria chimica ha fatto la sua parte, noi li abbiamo usati, si produceva di più, si guadagnava di più, è tutto concatenato. Adesso siamo andati abbastanza avanti: possiamo parlare di sostenibilità, e correre ai ripari. Noi abbiamo già aderito a “The Green Experience” un programma della Coldiretti Cuneo che prevede che venga eliminato il diserbo, che non si usino i prodotti di sintesi, che si facciano i trattamenti quando è necessario e non a calendario. È vero, per molti anni si è pensato che questa terra servisse per piantare la vite e fare soldi. E chi se ne frega delle conseguenze. In realtà la terra è nostra a catasto, ma noi dobbiamo lasciarla a qualcuno questa terra. Quindi in realtà non è tutto nostro quello che usiamo. Stiamo correndo ai ripari, però stiamo attenti: dobbiamo lavorare tutti insieme perché non è solo l’agricoltura che inquina e che fa danni. Guardiamo molte ciminiere che tutti i giorni sputano fumo, guardiamo le navi, i treni, le macchine, gli aerei. Secondo me è abbastanza difficile ottenere una vera sostenibilità. Sicuramente si può rimediare a qualche danno, noi facciamo la nostra parte. Però è anche vero che eliminando una pratica se ne fa un’altra. Noi abbiamo purtroppo o per fortuna terreni molto fertili. Eliminare le erbe infestanti non utilizzando il diserbo implica un incremento del 30% sui costi della produzione. Per fortuna ci troviamo in una zona in cui la vite paga. Ma in certe zone, in cui a volte in vendemmia recuperano a malapena i soldi che hanno speso, diventa difficile essere sostenibili. Comunque noi ci proviamo. Quindi bisogna andare tutti insieme, altrimenti non si va da nessuna parte, anzi: chi non fa la sostenibilità ti fa la concorrenza. Perché poi ricordatevi che chi compra la bottiglia compra con il denaro che ha in tasca. Ad un certo punto non basta che sia sostenibile, deve essere anche un prezzo equo. Comunque noi ci proviamo.
In effetti è molto bello quello che ci hai detto perché riassume proprio il significato dei tanti aspetti che abbiamo toccato: la parte economica, la parte ambientale, le persone di cui ci parlerà ancora Marina. E poi hai detto che dobbiamo andare tutti nella stessa direzione. Proprio così. Quando parliamo di fiducia, di patto, di patto addirittura tra le generazioni e anche con quelli che oggi non sono ancora nati, vuol dire davvero fare qualcosa di concreto. Perché a volte il rischio è di fare tante parole e poi però nella concretezza si fa poco. Invece è molto bello quando queste cose le applicate nella tutela delle terre grazie alle quali producete il vostro vino. Quindi questo è un aspetto veramente importante. Dici : “Andiamo tutti nella stessa direzione”. So che, oltre alla parte che curate in vigna, avete anche adottato delle attenzioni particolari, dei cambiamenti nella vostra cantina: ad esempio, utilizzate materiali riciclabili e meno inquinanti. Quindi io chiederei a Marco, figlio di Marina e Franco, se ha voglia di raccontarci quello che state facendo.
Marco: Nel nostro piccolo, in cantina abbiamo iniziato a utilizzare per tutte le scatole, per le spedizioni, carta 100% riciclata. Abbiamo smesso di utilizzare nastri di plastica per la chiusura delle scatole sostituendoli con nastri di carta. Per quanto riguarda l’aspetto logistico organizziamo le spedizioni due giorni a settimana. In passato le spedizioni per l’Italia si facevano quotidianamente: ogni giorno quindi qui c’era un viavai di camion e furgoni. Abbiamo stabilito due giorni a settimana in cui si uniscono tutte le varie spedizioni in modo da ottimizzare i trasporti e quindi diminuire un po’ l’inquinamento.
Questo è molto interessante, anche perché la parte dei trasporti è un po’ un gigante rispetto alla produzione di gas serra. Quindi il fatto di riuscire a ottimizzare e di ridurre un po’ l’inquinamento, in un modo più intelligente fa sì che il beneficio sia duplice. Grazie, mi hai raccontato una cosa che non sapevo. Chi è addetto del settore, sa che tutta la parte della catena di fornitura di un prodotto è una parte a cui prestare tantissima attenzione perché rappresenta un ambito in cui tanti piccoli cambiamenti messi insieme riescono davvero a fare la differenza. Nessuno di noi da solo può fare la differenza. Insieme sì, insieme possiamo. Grazie Marco.
E adesso veniamo al terzo aspetto che Marina ha già introdotto prima, ovvero la cura delle persone. E’ un aspetto veramente importante, perché si tratta di cura come impegno, come responsabilità. Si tratta di responsabilità, di rispetto, dentro l’azienda, ma anche fuori dall’azienda, perché l’investimento che un’azienda può fare è anche sulla comunità che la ospita. Un’azienda non è un un’oasi nel deserto, ma in realtà è fatta di relazioni e di tante ricadute sul territorio.
Marina: Io penso che il detto di mio papà “Se dai, ricevi” sia eccezionale, perché comunque le persone che lavorano in un’azienda devono essere valorizzate. Ma no, meglio, essere “amate” ; devono sentirsi bene e venire al lavoro con piacere. Ed il fatto che mia mamma alle 10:00 faccia le torte ed il caffè per tutti, che ci si fermi 10 minuti e che di nuovo alle 16:00 faccia di nuovo caffè e torta per tutti, non è tempo perso. Noi qui siamo una famiglia. Siamo un’azienda ma siamo prima di tutto una famiglia e tutti vengono trattati come membri della nostra famiglia. Alle 10 ed alle 16 nonna Gemma mette su la caffettiera per tutti e offre la torta, ne prepara sempre 2 o 3. Questo è donare e ricevere. Perché non è detto che il dipendente lavora meglio se gli stai sempre con il fiato sul collo. Non è vero. Con il nostro comportamento (trattare tutti come membri di famiglia) i dipendenti prendono il lavoro con più responsabilità. Se doni comunque ricevi sempre.
La storia della famiglia Piazzo continua: a breve pubblicherò la seconda parte del resoconto