Se sei giovane, probabilmente non ne hai mai sentito parlare. O forse associ quest’espressione al nome di una band che, negli ultimi anni, ha calcato il palco del Festival di Sanremo. Lo Stato Sociale, il Welfare.
UN PO’ DI STORIA
Ha iniziato a pensarci alla fine del XIX secolo Otto von Bismarck. Il primo cancelliere dell’impero tedesco cerca di arginare la diffusione del pensiero socialista. Bismarck crea una forma di assistenza pubblica per malattia, invalidità, infortuni. Prevede anche il diritto alla pensione per i settantenni (che erano pochi, data l’età media più bassa rispetto agli standard attuali). Questo primo sistema di welfare prevede la contribuzione obbligatoria: l’assistenza e la pensione sono garantiti a chi riesce a versare nelle casse dello Stato i propri contributi.
C’E’ WELFARE PER TUTTI
Nascerà nel Regno Unito negli anni ’40 del secolo scorso il sistema universalistico, ideato da lord William Beveridge. Secondo il quale lo Stato deve garantire a tutti cittadini un livello minimo di sussistenza. Indipendentemente da lavoro, età, stato civile. Si parla quindi di un modello di redistribuzione del reddito, che garantisca in maniera universale i servizi di base di assistenza sanitaria e previdenziale.
LA SCATOLA FINLANDESE
Le mie figlie hanno giocato per un po’ di anni con quei mini-bambolotti chiusi in una scatoletta simile a quella dei fiammiferi. E’ la riproduzione dello scatolone, contenente il materiale necessario per assistere un neonato, che in Finlandia, a partire dal 1930, viene fornito alle future madri. E’ una variante del modello universalistico. Perché i servizi offerti dagli stati del Nord Europa non si limitano al livello minimo. Ma si innalza la qualità delle prestazioni stesse. A fronte di un maggior esborso in termini di imposte e tasse.
THE FAMILY WELFARE
Nel Sud Europa invece un elemento fondamentale, un fulcro del welfare è la famiglia. A cui lo Stato demanda una parte dei servizi, in particolare per ciò che riguarda l’assistenza a bambini, disabili e anziani.
E in Italia? Da questo excursus potremmo concludere che nel nostro paese è stato adottato un mix dei modelli visti: per la sanità, l’universalismo di Beveridge; per le pensioni, il modello di Bismarck a contribuzione obbligatoria e (ormai) a capitalizzazione; per l’assistenza, il modello familiare.
LO STATO SOCIALE IN CRISI
Questi modelli si basano su un presupposto. Che la suddivisione della popolazione per fasce d’età sia graficamente rappresentabile da un triangolo, una piramide. In cui la popolazione anziana è in minoranza rispetto alla popolazione giovane e in età lavorativa. Che può, versando i propri contributi, garantire assistenza a chi non lavora più. Tutto funziona perfettamente (o quasi) fino a una trentina di anni fa. Quando il trend demografico si inverte. E poco per volta la popolazione invecchia. Gli anziani diventano la maggioranza della popolazione. E il sistema previdenziale e assistenziale garantito dallo Stato inizia ad andare in crisi.
IL RUOLO SOCIALE DELLE AZIENDE
La crisi dello Stato Sociale ha portato alla nascita di un nuovo modello. Complementare a quello già esistente. Il modello di assistenza basato sul welfare aziendale.
Perché gli imprenditori si fanno carico di parte dei servizi che i vari Stati non sono più in grado di garantire?
Certamente ci sono esempi di imprenditori generosi, eroici, che hanno privilegiato il benessere dei propri lavoratori al contenimento dei costi aziendali. C’è chi avrà iniziato ad erogare benefits a seguito degli sgravi fiscali garantiti dai governi.
I più illuminati hanno colto che la crisi del welfare pubblico porta ad un impoverimento della popolazione. E quindi anche dei loro lavoratori. Che hanno iniziato a vivere nell’insicurezza, nell’incertezza di non arrivare a fine mese. E questo incide negativamente sulle prestazioni lavorative, sulla capacità di concentrazione. E quindi sulla possibilità di centrare gli obiettivi aziendali. Per questo motivo, il welfare aziendale è diventato uno strumento strategico nell’ambito della gestione delle risorse umane. Lavoratori più felici sono lavorativi più produttivi. E nello stesso più fedeli nel tempo all’azienda per cui lavorano. Le aziende all’avanguardia nelle strategie di welfare riescono ad attrarre e trattenere più a lungo i migliori talenti.
COME POSSO AIUTARE I MIEI DIPENDENTI?
Sono varie le modalità con cui un’impresa può diventare artefice del benessere dei propri dipendenti. Può erogare in maniera liberale buoni che consentano l’accesso ai cosiddetti “flexible benefits”. A titolo esemplificativo e non esaustivo, vi rientrano visite mediche, asili e servizi di baby-sitting, palestre, teatri, cinema. Si tratta di beni in natura e non di remunerazioni in denaro. E quindi che non contribuiscono a formare reddito e pertanto sono esenti da un punto di vista fiscale.
Si può anche prevedere, nell’ambito di un contratto integrativo aziendale, che il premio aziendale sia sistematicamente corrisposto in natura anziché in cash.
Un discorso a parte vale per la previdenza complementare, alias i fondi pensione. Che possono essere anche essi strumenti di welfare aziendale. E che danno un vantaggio in termini economici e fiscali sia ai lavoratori che agli imprenditori. Tornerò sicuramente sull’argomento, che merita spazio e tempo adeguati. Con l’intento anche di aumentare il livello di conoscenza della materia e quindi il livello di adesione a questo tipo di strumenti, purtroppo ancora basso in Italia rispetto ad altre nazioni occidentali.
SENTIRSI A CASA ANCHE AL LAVORO
Ci sono anche esempi di welfare aziendali, tipici soprattutto delle aziende a conduzione familiare o di più piccole dimensione. Buone pratiche più che erogazioni di beni o servizi, che hanno migliorato il clima aziendale. Come , ad esempio, l’istituzione di un orto aziendale, in cui i dipendenti possano coltivare frutta e verdura. O di una biblioteca comune, che favorisca da un lato la crescita culturale dei lavoratori, dall’altro lo scambio la condivisione. Ci sono aziende che danno la possibilità ai dipendenti di recapitare i pacchi presso l’azienda. O che hanno messo a disposizione dei dipendenti le colonnine per la ricarica dell’auto elettrica.
Tutte modalità, piccole e grandi, che rendono più felici i dipendenti. E più produttiva l’azienda.
VUOI UN’AZIENDA COSI’?
Se tu sei un imprenditore, probabilmente hai già attivato pratiche di questo tipo, nell’ambito del percorso di sostenibilità che ormai la stragrande maggioranza delle aziende ha intrapreso.
E probabilmente ti stai chiedendo: “Come posso investire in aziende che siano all’avanguardia nell’adozione e nello sviluppo del loro modello di welfare?” Sia come un normale investitore, che vuole aziende sane nel portafoglio di titoli in cui investe. Sia perché il percorso di sostenibilità richiede di migliorare il proprio rating, un vero e proprio punteggio che sintetizza il livello di raggiungimento degli obiettivi in ambito di sostenibilità. E l’impiego delle risorse finanziarie aziendali in investimenti che hanno per oggetto altre aziende sostenibili rappresenta un valido strumento per incrementare il rating. Se vuoi approfondire l’argomento e le modalità per migliorare il tuo rating di sostenibilità, ti invito a scrivermi a mauro.ventura@finanzaresponsabile.it