Includere, per crescere
L’accesso ai servizi finanziari non è uguale per tutti. Ma può diventarlo. A patto che la consulenza torni a essere uno strumento di equità, e non solo di efficienza.
Quando parliamo di disuguaglianze, pensiamo spesso a reddito, istruzione, salute. Ma c’è un’altra forma di disuguaglianza, più silenziosa ma altrettanto rilevante: la disuguaglianza nell’accesso alla finanza. E no, non si tratta solo di chi ha capitali da investire e chi no. Si tratta della possibilità – o dell’impossibilità – di compiere scelte informate, di proteggersi, di pianificare il proprio futuro. In una parola: di avere gli strumenti per decidere.
COS’È (DAVVERO) L’INCLUSIONE FINANZIARIA
Parlare di inclusione finanziaria non significa regalare servizi o abbassare gli standard. Significa rimuovere gli ostacoli che impediscono a molte persone, famiglie e piccole imprese di accedere a prodotti e consulenze adeguate. Ostacoli che possono essere economici, ma anche culturali, linguistici, territoriali, digitali o legati al genere.
Significa anche contrastare una narrazione tossica che ancora oggi accompagna il rapporto con il denaro, soprattutto in certi contesti: “non è roba per me”, “è troppo complicato”, “è solo per chi ha tanti soldi”. Frasi che rivelano un problema più profondo: l’assenza di fiducia nel proprio diritto di capire e scegliere.
ESSERE EFFICIENTI, MA ESCLUDERE
Negli ultimi anni, il mondo della finanza ha puntato molto sulla tecnologia e sull’efficienza: robo- advisor, app, piattaforme. Tutto comodo, veloce, spesso più economico. Ma a chi si rivolgono questi strumenti? A chi ha già conoscenze di base, dimestichezza digitale, sicurezza nei propri mezzi.
Il rischio è evidente: una parte della popolazione resta fuori, non per mancanza di interesse, ma per mancanza di accesso. O, peggio ancora, vi accede in modo passivo, esposta a offerte standardizzate o non trasparenti. È così che la finanza può diventare, invece che un motore di inclusione, una leva di ulteriore disuguaglianza.
CONSULENZA PER TUTTI, NON UGUALE PER TUTTI
Il vero cambiamento passa da una nuova idea di consulenza: una consulenza accessibile, empatica, proporzionata, ma non semplificata fino all’insignificanza.
Accessibile, perché deve raggiungere anche chi vive in contesti svantaggiati, chi ha bassa alfabetizzazione finanziaria, chi ha avuto esperienze negative col sistema bancario.
Empatica, perché deve saper ascoltare senza giudicare, spiegare senza banalizzare. Proporzionata, perché non tutti hanno bisogno degli stessi strumenti, ma tutti hanno diritto a strumenti adatti alla propria situazione. E soprattutto, deve essere orientata all’autonomia: il consulente non decide al posto del cliente, ma cammina con lui finché non è in grado di camminare da solo.
PERCHÉ L’INCLUSIONE CONVIENE A TUTTI
A qualcuno potrebbe sembrare un discorso “buonista” o poco sostenibile economicamente. Ma è vero il contrario. Una società in cui più persone sono consapevoli e in grado di gestire il proprio denaro è una società più stabile, più resiliente, più sicura anche per chi sta meglio. E dal punto di vista del business, ampliare la base dei clienti significa aprire nuovi mercati, sviluppare relazioni durature, ridurre i rischi sistemici.
Inclusione finanziaria non vuol dire livellare tutti. Vuol dire dare a ciascuno le condizioni per costruire il proprio percorso, nel rispetto della propria storia e delle proprie possibilità.
Una consulenza davvero responsabile non guarda solo al rendimento.
Guarda alle persone. E lavora perché nessuna resti indietro.