È davvero tutto green?
Negli ultimi anni, le etichette “green”, “etico” sono diventate onnipresenti nel mondo della finanza. Ma cosa significano davvero? E soprattutto: sono tutte sicure? Il rischio è ben noto, e ha un nome preciso: greenwashing. Ovvero: far credere che un prodotto finanziario sia più sostenibile di quanto non sia, magari enfatizzando un solo aspetto e tacendo tutto il resto.
Per l’investitore responsabile, oggi la sfida non è più solo trovare strumenti finanziari etici.
È imparare a distinguere quelli autenticamente sostenibili da quelli che lo sembrano solo in superficie.
IL PROBLEMA NON È SOLO ETICO, È ANCHE FINANZIARIO
Scegliere prodotti che si dichiarano sostenibili ma non lo sono davvero può avere conseguenze concrete. Un fondo che espone l’investitore a rischi ambientali, sociali o di governance mal gestiti è più vulnerabile a crisi reputazionali, cause legali, nuove normative, crolli di fiducia.
Non si tratta quindi solo di coerenza con i propri valori – che pure è fondamentale – ma anche di protezione del capitale e solidità nel tempo. Un investimento davvero sostenibile è, spesso, anche più resiliente.
COME RICONOSCERE UN INVESTIMENTO GREEN…SUL SERIO
Non esiste una formula magica, ma ci sono alcuni segnali che aiutano a distinguere tra impegno reale e operazioni di facciata.
Per esempio, è importante verificare la trasparenza della documentazione: vengono forniti dati chiari sugli impatti ambientali o sociali? Sono indicati obiettivi misurabili, e non solo dichiarazioni d’intenti?
Altro elemento fondamentale è la coerenza tra ciò che si dice e ciò che si fa: un fondo che si dichiara “climate-friendly”, ma detiene in portafoglio società altamente emissive senza alcuna strategia di engagement (ossia di azionariato attivo, volto ad orientare le linee strategiche dell’azienda) o disinvestimento, dovrebbe far sorgere più di un dubbio.
Anche il linguaggio è rivelatore: più è generico, più è sospetto. “Sostenibile” rispetto a cosa? Con quali criteri? Confrontato con quale benchmark?
LA NORMATIVA AIUTA, MA NON BASTA
L’Unione Europea ha introdotto strumenti utili per aumentare la trasparenza: la SFDR (Sustainable Finance Disclosure Regulation), la Tassonomia Verde, i requisiti informativi per gli articoli 8 e 9. Sono passi importanti. Ma la complessità della materia e la varietà di interpretazioni lasciano comunque margini di ambiguità.
Serve quindi una consapevolezza attiva da parte dell’investitore, che non può più limitarsi a fidarsi del nome del fondo o del colore del logo, ma deve sviluppare una minima alfabetizzazione in materia ESG. Ed è qui che il consulente può fare davvero la differenza.
UN CONSULENTE PER ALLENARE LO SGUARDO CRITICO
In un contesto affollato di offerte “green”, il consulente finanziario non è solo un selezionatore, ma anche una guida culturale e tecnica. Deve aiutare il cliente a leggere tra le righe, a interpretare i dati, a capire quali domande fare.
Ma soprattutto, deve saper scegliere strumenti coerenti con i valori del cliente, non solo con i suoi obiettivi finanziari. Perché non si tratta solo di “quanto si guadagna”, ma anche di “come si guadagna”. E in un’epoca di crisi ambientali e sociali, il “come” conta quanto il “quanto”.
Investire in modo sostenibile non è questione di fede.
È una pratica consapevole. E va coltivata con onestà, trasparenza e spirito critico.