L’educazione finanziaria come antidoto alla crisi
In Italia ci sarebbe bisogno di più educazione finanziaria. A dirlo – ma per la verità non c’era bisogno di conferme – è l’indagine Standard&Poor’s “Global Finlit Survey” su 140 paesi, secondo cui il nostro paese si colloca all’ultimo posto in Europa in quanto a livello di conoscenza del mondo finanziario. In Italia, solo il 37% degli adulti è in grado di rispondere correttamente ad almeno 3 delle 5 domande sui concetti di base – tasso d’interesse, inflazione, diversificazione del rischio… – poste dai ricercatori a un campione rappresentativo. Una precedente indagine condotta questa volta dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) fotografava una situazione simile anche sui giovani under 15, che risultavano i meno consapevoli fra quelli di tutti i paesi aderenti all’Organizzazione.
Va da sé che la cultura finanziaria è un presupposto necessario per un paese che possa definirsi economicamente evoluto, e che la consapevolezza sta ovviamente alla base di ogni scelta di investimento, di quello sostenibile in modo particolare.
Un altro effetto della crisi
La crisi finanziaria ha prodotto, qui più che altrove, un clima di diffidenza nei confronti del mondo della finanza. Anziché spingere a informarsi e a scoprirne i meccanismi, la situazione di incertezza ha allontanato moltissimi cittadini dal concetto stesso di investimento, cambiando radicalmente le motivazioni di scelta. Gli italiani hanno sempre meno intenzione di rischiare, e fatte le dovute eccezioni sembrano non voler neppure sentir parlare di fondi e obbligazioni.
Da qui una situazione che ci distingue dal resto d’Europa: la quantità di denaro liquido – circolante e depositi – è cresciuta di molto negli ultimi anni, arrivando al 30% del totale, una percentuale simile a quella registrata negli anni Ottanta. Nel contempo si sono ridotte le quote destinate alle obbligazioni, in particolare quelle bancarie, come conseguenza degli avvenimenti di questi mesi.
Se queste reazioni sono comprensibili e, almeno in parte, condivisibili, le loro proporzioni in Italia paiono il sintomo di un allarmismo dettato da una scarsa cultura (prodotto di una scarsa educazione finanziaria) e soprattutto dalla mancanza di strumenti per scegliere strade di investimento differenti, prime delle quali quelle sostenibili e responsabili. La bassa alfabetizzazione in temi economici e finanziari è di certo complice negli scandali finanziari di questi ultimi due anni in Italia, in particolare quelli legati a Banca Popolare dell’Etruria e alle banche venete.
Insomma, di fronte a condizioni di rischio o scarsa visibilità, la soluzione non è il materasso, ma un investimento consapevole, informato, avveduto e – perché no – giusto anche dal punto di vista sociale.