Fate attenzione alle banche armate
Sono ormai alcuni anni che nel settore della finanza sostenibile si parla delle cosiddette “banche armate”, quegli istituti di credito che finanziano direttamente o, peggio ancora, indirettamente, con i soldi a loro affidati da clienti spesso ignari, le aziende attive nel mercato degli armamenti: produttori, distributori, intermediari. Da tempo in Italia si è attivata una campagna che ha ottenuto una certa risonanza e che propone a risparmiatori e investitori di boicottare queste banche. Sono molte, poi, le organizzazioni attente alla questione, che periodicamente cercano di analizzare i rapporti fra banche e industria delle armi. Dal punto di vista che più ci interessa qui, dico semplicemente che, fra i criteri di equità sociale che un investimento responsabile dovrebbe rispettare, i legami con l’industria della guerra e delle armi in genere non possono che essere un aspetto centrale, e purtroppo particolarmente attuale.
I numeri delle banche armate, in Italia
Un articolo di Repubblica di un paio d’anni fa, che riprendeva un’indagine di Nigrizia (mensile dei missionari comboniani dedicato al continente africano), attribuiva il 55% del valore mondiale legato all’export delle armi a soli 3 gruppi bancari: Deutsche Bank, BNP Paribas e Barclays.
Più recentemente, il tema delle banche armate è ritornato nelle cronache italiane in conseguenza di un’inchiesta del quotidiano Avvenire, che ha evidenziato come il valore complessivo di tutte le transazioni bancarie italiane legate alla spedizione di armamenti sia passato da 2,5 miliardi di euro nel 2014 a 7,2 miliardi nel 2016, registrando un aumento del 180%.
Un caso emblematico
Il quotidiano ha segnalato anche il caso di un piccolo istituto bresciano, Banca Valsabbina, di cui è azionista una multinazionale delle armi, la RWM Rheinmetall, che fa affari con la guerra in Yemen. Si tratta dell’unica partecipazione azionaria varata dall’azienda tedesca, e coinvolge una piccola somma (meno di 30.000 euro di pacchetto azionario) ma mette il produttore di armi nella posizione di correntista e comproprietario. E per un tempo non breve, vista la promessa di una “durevole permanenza” fatta da entrambe le parti.
Alla richiesta di un commento per Avvenire, Banca Valsabbina ha precisato che l’istituto “sta lavorando all’adozione di una Policy Etica per la gestione dei rapporti con le aziende che operano nel settore degli armamenti, coerentemente con i principi di responsabilità sociale e ascolto del territorio che la caratterizzano”. Sono curioso di vedere cosa ne verrà fuori.