La voragine energetica dei Bitcoin
Se ne parla sempre di più, e oggi sono l’argomento intorno al quale si generano più discussioni e dissensi in ambito finanziario (ma non solo). Sono i Bitcoin, le “criptovalute” di cui ciascuno di voi avrà di certo letto o sentito qualcosa, prima o poi, in qualche modo.
Cosa sono i Bitcoin
Nati nel 2009 dalla mente di un misterioso signore che si fa chiamare Satoshi Nakamoto, i Bitcoin sono una moneta “virtuale”, non solo perché esistono esclusivamente in versione digitale, quanto piuttosto perché fanno a meno di una banca centrale. A emetterli e gestirli, infatti, è una tecnologia diffusa fra tutti gli utenti della rete e chiamata Blockchain, che in modo criptato (da qui il termine criptovalute) consente di trasferire una somma da un portafoglio a un altro, in modo sicuro e istantaneo, senza alcun intermediario. Attraverso la Blockchain i Bitcoin possono dunque essere acquistati, usati per pagare beni e servizi, o convertiti in altre valute, reali o virtuali che siano.
Chi entra nel mondo dei Bitcoin, però, lo fa principalmente per usarli come strumento speculativo, per investire e guadagnarci. I numeri, del resto, parlano chiaro: il valore di questa valuta digitale è cresciuto in modo incomparabile con qualunque altro strumento finanziario. Chi avesse investito 1.000 dollari nel 2015, oggi avrebbe circa 28.000 dollari. E chi l’avesse fatto sin dalla prima ora, poniamo nel 2011, oggi si ritroverebbe sul suo portafoglio digitale la bellezza di oltre 10 milioni di dollari, centinaio più centinaio meno. Non sorprende dunque che intorno ai Bitcoin (e alle altre criptovalute “cugine”) si sia creata molto in fretta un’attenzione a dir poco spasmodica.
Non è un investimento per tutti
Certo, i Bitcoin non sono uno strumento adatto a chiunque. Uno dei lati negativi è la loro estrema volatilità, che li rende appetibili solo a chi è disposto a sostenere un rischio molto elevato, almeno nel breve periodo. Non è un investimento per deboli di cuore, insomma. La loro natura digitale e le procedure di gestione del tutto autonome e indipendenti presuppongono poi un’elevata familiarità nei confronti della tecnologia e una competenza non comune, anche dal punto di vista finanziario. Insomma, con i Bitcoin si può guadagnare, ma a patto di avere coraggio e gestire con maniacale puntualità i meccanismi che sovraintendono al sistema. Ma, oltre ai problemi di opacità e poca trasparenza (che porta gli osservatori più attenti a considerare la Rete il nuovo paradiso fiscale globale), è proprio nel loro meccanismo che le valute digitali nascondono un altro (mastodontico) effetto collaterale che spesso viene sottaciuto: il consumo energetico che richiedono.
Sempre più assetati di energia
Proprio perché non esiste un’autorità centrale a validarlo, ciascun trasferimento in Bitcoin è infatti certificato dalla rete stessa, ossia da utenti chiamati miner. Senza entrare troppo nel dettaglio, i miner si occupano di verificare la validità delle transazioni attraverso algoritmi molto complessi, che analizzano l’origine della transazione, il momento in cui è avvenuta, il beneficiario, i rispettivi wallet (portafogli) e centinaia di altri parametri di sicurezza, attribuendo al trasferimento di Bitcoin un valore univoco, sicuro e comprovato. Ma per fare ciò serve un’enorme potenza di calcolo: da anni i computer di casa non bastano più, e i miner usano macchine sempre più potenti, veloci ed efficaci, che tutte insieme consumano quantità elevatissime di energia elettrica. Se si pensa che i miner sono ricompensati per ogni transazione che validano (chi per primo registra un pagamento riceve per questo una somma in Bitcoin) si capisce perché fra i “minatori di Bitcoin” ci sia una corsa continua a potenziare il proprio apparato (finche il valore della valuta aumenta, gli investimenti in tecnologia si ripagano), aumentando così la richiesta di energia. Sì, perché potenza di calcolo e consumo elettrico sono strettamente correlati, e crescono a un ritmo vertiginoso. L’ultima stima disponibile, aggiornata a fine luglio 2017, parla di circa 8TWh all’anno, circa la quantità di energia prodotta nello stesso periodo da una centrale nucleare di media grandezza, il 2,5% del consumo nazionale italiano. Solo 5 mesi prima il consumo era circa della metà. La cosa, in sostanza, sembra essere sfuggita di mano.
È difficile prevedere per quanto si andrà avanti così e cosa potrà fermare tutto ciò: ci sarà un cambio del meccanismo di validazione? una frenata nell’aumento del valore dei Bitcoin? un intervento esterno capace di riportare il sistema verso l’equilibrio? Quel che è certo è che oggi il consumo di energia semplicemente sembra non essere un problema nella comunità Bitcoin. Ma lo sta diventando sempre più per la comunità di cittadini.